A lezione di sport e di vita col campione Ivan Cordoba

A lezione di sport e di vita col campione Ivan Cordoba

Una giornata speciale quella del 21 febbraio per gli studenti della Secondaria dell’Istituto San Giuseppe.

Come si diventa grandi seguendo le proprie passioni, divertendosi e allo stesso tempo con impegno e responsabilità?

Un ospite d’eccezione è venuto a raccontare la propria esperienza ai ragazzi: Iván Cordoba, difensore dell’Inter e della Nazionale colombiana, ora dirigente, procuratore sportivo e fondatore di alcune associazioni per sostenere lo sviluppo di bambini e malati in Colombia. 

Fin da piccolo, racconta, la sua passione è sempre stata il calcio: “Quando la madre superiora ci ritirava il pallone, se qualche bambino si era fatto male, noi andavamo a cercare nella spazzatura un sacchetto di plastica e della carta, tantissima carta. Con la carta riempivamo il pallone e continuavamo a giocare così. Nulla ci poteva fermare!”

Crescendo, bisognava conciliare due vite: il calcio e lo studio. Iván racconta di essersi fidato dei suoi genitori, che lo spingevano sempre a studiare.

Iván ha cercato di fare al meglio entrambe le cose: infatti così come il calcio insegna la disciplina e tanti valori, lo studio è la possibilità di imparare a fare delle scelte, prendere delle decisioni. E anche quando studiare era complesso, ha sempre cercato di istruirsi, di leggere, di informarsi, di imparare l’inglese.

Finita la stagione calcistica, quando bisognava pensare a che cosa fare dopo, Iván ha seguito dei corsi per imparare a fare il dirigente, il direttore sportivo: senza, dice, non sarebbe stato in grado di farlo. 

Rispondendo alle varie domande dei ragazzi, Iván racconta squarci di vita di una luminosità rara.

Per esempio raccontando di una partita bella che gli è rimasta in mente dice: “La finale della Coppa America con la mia nazionale. Era un periodo difficile in Colombia, c’era la guerriglia e la gente soffriva. Allora noi ci siamo detti: dobbiamo vincere per fare un regalo alla nostra gente, per dare loro un momento di riposo da quel conflitto. Durante tutto quel mese non c'è stato un solo ferito. Paramilitari, trafficanti, guerriglieri, erano tutti lì a guardare la partita. Per noi tutto questo era oltre lo sport: era un dovere che avevamo nei confronti della nostra nazione”.

Poi, racconta del passaggio da attaccante a difensore: “Pian piano ci ho preso passione e non vedevo l’ora di recuperare i palloni, di proteggere la mia squadra. Volevo che i miei compagni sapessero che potevano fidarsi di me”.

E ad un ragazzo, che gioca da difensore ma la sua passione è fare l’attaccante, dice: “Adesso fai il difensore per un po' di tempo: imparerai cose che ti serviranno poi, quando passerai a fare l'attaccante. Saprai che cosa fanno i difensori, capirai la fatica dei tuoi compagni e andrai ad aiutarli. Poi però vai dal tuo mister e digli qual è la tua passione!”.

Raccontando del triplete, Iván ricorda ai ragazzi l’importanza di avere degli obiettivi, alcuni a breve e altri alungo termine.

Bisogna sempre porsi degli obiettivi e impegnarsi per raggiungerli, prendendosi le proprie responsabilità.

Bisogna cercare di fare qualcosa di storico, giocare per fare qualcosa che nessuno prima ha mai fatto: non per i soldi, quelli vanno e vengono; e nemmeno per i followers, perché non sono loro poi quelli che scendono in campo: bisogna darsi da fare. 

Infine, Iván racconta delle associazioni che ora segue: una si occupa di dare da mangiare a bambini che vanno alle elementari, perché “non impari a leggere se hai la pancia vuota; e se il tuo sviluppo fisico è disastroso, non riuscirai a giocare con i tuoi amici”.

L’altro progetto è la “nave ospedale”, che trasporta farmaci in piccoli villaggi raggiungibili solo tramite il fiume.

Perché impegnarsi in questi progetti? “Quando sono partito dalla Colombia pensavo che se avessi avuto delle possibilità nella vita le avrei sfruttate bene, innanzitutto, e poi avrei dovuto aiutare gli altri. Ho sempre ringraziato per le possibilità che a me sono state date, perciò almeno un minimo dovevo dare, restituire questo dono. Quando qualcuno ti fa un dono, tu ringrazi. E io, che credo in Dio, mi sento chiamato a condividere”.

 

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